Codice 999 – Chi è mia madre.

“I due giorni più importanti nella tua vita sono il giorno in cui sei nato e il giorno in cui scopri il perche'”.

(Mark Twain)

Dicevano i latini: “Mater semper certa est, pater nunquam”-Trad. “La madre è sempre certa, il padre mai”.

E’ logico e intuitivo che il figlio sia della madre che lo ha partorito, ma quando la mamma decide di rimanere anonima?

Molte madri vogliono mantenere l’anonimato al momento del parto, ma molti figli vogliono conoscere le proprie origini.

Esiste un diritto della madre a mantenere segreta la propria identità, ma anche il diritto di un figlio a conoscere le proprie origini. Quale dei due diritti è prioritario? Cosa dice la legge?

Molte sono le norme che tutelano il diritto della madre all’anonimato al momento del parto:

  • l’art. 30 c. 1 del D.P.R. n. 396/2000 relativamente alla dichiarazione di nascita ai fini della formazione dell’atto di nascita, riconosce e rispetta la volontà della madre di non essere nominata;
  • ai sensi dell’art. 93 c. 2 e 3 d. lgs. 196/2003 “il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata avvalendosi della facoltà di cui all’art. 30 c. 1 d.p.r. 396/2000, possono essere rilasciati in copia integrale a chi vi abbia interesse, in conformità alla legge, decorsi cento anni dalla formazione del documento;
  • l’art. 28 c. 7 l. n. 184/83 sancisce che l’accesso alle informazioni non è consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale;
  • l’allegato del D.M. n. 349/2001 prescrive di indicare il codice 999 per “Donna che non vuole essere nominata” sul certificato di assistenza al parto.

Dalla normativa analizzata emerge chiaramente come il legislatore abbia voluto tutelare il diritto della donna all’anonimato, le generalità della partoriente saranno accessibili decorsi cento anni consentendone l’accesso prima di tale data solo per esigenze di tipo genetico necessarie a tutelare la salute dei discendenti ma adottando le opportune cautele per evitare l’identificazione.

Ma perchè il legislatore riconosce e tutela il diritto all’anonimato della partoriente?

La ratio è sicuramente da intendersi nell’esigenza di assicurare alla donna un parto in condizioni di sicurezza per la propria vita e quella del nascituro, rispettando il diritto all’anonimato si evitano aborti clandestini, abbandono di neonato o infanticidio; svariati, infatti possono essere i motivi che inducono una donna a non voler o poter tenere con sè il bambino, e con l’anonimato si può partorire in strutture adeguate con la necessaria assistenza evitando situazioni molto dolorose e gravi.

La madre ha diritto all’anonimato, ma anche il figlio a conoscere le proprie origini per formare la propria identità personale; l’incertezza in merito alle origini, le assillanti domande: ma chi è mia madre, perchè non vuole farsi identificare, o perchè non mi ha voluto riconoscere?, possono tormentare ogni bimbo, adolescente, adulto, creando non pochi disagi anche nello sviluppo della personalità. E allora, quale diritto deve essere considerato e tutelato, o come bilanciare entrambi?

Una recente sentenza della Cassazione (Cassaz. Civile n. 19824/20) ha riconosciuto preminente il diritto della madre partoriente all’anonimato per tutta la durata della sua vita. Secondo il ragionamento dei supremi giudici il diritto all’anonimato serve a tutelare i beni supremi della vita e della salute sia del nascituro che della madre, la quale, diversamente, nel momento di “estrema fragilità che caratterizza il parto”, potrebbe fare scelte rischiose qualora ritenga di essere esposta in seguito a un accertamento giudiziale di maternità.

In pratica, per i giudici solo la madre può revocare tale scelta. E se non lo fa, e un figlio vuole conoscere la propria origine?

Non esiste una precisa disciplina attuativa prevista dalla legge, le sezioni unite della Cassazione (Cassaz. Sez. Unite n. 1946 del 2017) hanno chiarito che qualora un figlio voglia conoscere la propria origine, attiva un procedimento dinnanzi al giudice, il quale interpella la madre con modalità idonee ad assicurare la massima riservatezza per la donna, al fine di valutare se sia disposta a revocare la dichiarazione di anonimato al momento della nascita e a svelare l’identità al figlio che vuole conoscerla, se la madre persiste nel diniego a svelare la propria identità, il diritto del figlio a conoscere la propria origine, viene meno. In questo caso, o in osservanza alla legge, solo decorsi cento anni dalla formazione del certificato di assistenza al parto si potrà ottenere copia integrale contenente l’dentità della madre oppure, solo con la morte, in quanto, venendo meno la tutela del diritto alla vita e alla salute che era stata fondamentale nella scelta dell’anonimato, il figlio avrà diritto a conoscere la propria origine.

Con la sentenza ut supra n. 19824 del 2020 si è chiarito che in caso di morte della madre, sebbene questa non abbia revocato la scelta dell’anonimato, il figlio ha diritto a conoscere il proprio status di filiazione; il termine dei cento anni previsto dal d.lgs. n. 196/2003 non può essere considerato operante oltre il limite della vita della madre che ha partorito nell’anonimato. Una diversa soluzione significherebbe la perdita definitiva del diritto fondamentale di un figlio all’identità personale da garantire con la conoscenza delle proprie origini (Cassaz. ordinanza n. 3004/2017 e 2018).

E’ ovvio che tutto debba svolgersi con le dovute cautele proteggendo l’identità sociale creata dalla donna senza creare alcun danno alla reputazione, all’immagine o altro concernente i familiari, e il tessuto relazionale che la stessa ha creato successivamente all’esercizio del diritto all’anonimato.

Da sapere

Abbiamo visto che quando la madre decide per l’anonimato e pertanto non riconosce il bimbo, viene fatta segnalazione da parte della direzione sanitaria dell’ospedale alla Procura della Repubblica presso il Tribuanle per i minorenni, della situazione dell’abbandono del neonato non riconosciuto, per consentire l’apertura del procedimento di adottabilità.

La madre in presenza di gravi e particolari motivi, potrà chiedere al Tribuanle per i minorenni presso cui si è aperta la procedura di adottabilità un periodo di tempo per provvedere al riconoscimento.

In questi casi, il procedimento di adottabilità viene sospeso per due mesi dovendo però la madre mantenere in maniera continuativa il rapporto con il bimbo.

Se invece la madre cambia idea prima che parta la segnalazione, Le viene restituita in busta chiusa la sua precedente richiesta, viene data comunicazione al Tribuanle per i minorenni, che convalida il riconoscimento; se cambia idea dopo la segnalazione, dovrà rivolgersi al Tribuanle per i minorenni per effettuare il riconoscimento fermo il suo diritto di recarsi all’ufficio anagrafe del proprio comune.

Le culle per la vita

Accade spesso che la donna non voglia proprio recarsi in ospedale e decida di partorire in casa, bisogna sapere che esiste la possibilità di lasciare il bimbo in speciali culle che si trovano presso conventi, ospedali, parrocchie; dei sensori segnalano la presenza del bimbo che può essere lasciato nell’assoluto anonimato e avere le necessarie cure e la dovuta assistenza oltre a garantirgli l’amore di una nuova famiglia in quanto si aprirà la procedura per l’adozione.

Cosa abbiamo imparato da questo articolo

Ogni essere umano ha la propria storia, e diverse possono essere le ragioni di una donna all’anonimato, e di conseguenza a non riconoscere il proprio figlio e a non volersi così esporre a un successivo accertamento giudiziale di maternità. L’anonimato, preserva la madre dal peso della responasabilità dell’abbandono: mai il figlio potrà cercarla e chiederle il perchè di quella scelta; una scelta molto dolorosa e difficile, che nessuno può giudicare.

Con questo articolo vogliamo informare la donna delle possibilità previste dalla legge e pertanto evitare che faccia gesti azzardati e infondere la consapevolezza che una scelta così intima e privata, qualunque sia la ragione per cui venga adottata, possa essere revocata, e che comunque bisogna rispettare i diritti dei due protagonisti di questa storia di vita: la madre e il suo diritto all’anonimato, il figlio e il suo diritto a conoscere le proprie origini;quale sia prioritario, lo abbiamo capito dalle varie sentenze citate, entrambi però, meritano assoluto rispetto.

NOTE

– Art. art. 30 c. 1 del D.P.R. n. 396/2000;

  • art. 93 c. 2 e 3 d.lgs. 196/2003;
  • art. 28 c. 7 l. n. 184/83;
  • allegato del D.M. n. 349/2001;
  • Cassaz. Civile n. 19824/20;
  • Cassaz. Sez. Unite n. 1946 del 2017; 3
  • Cassaz. ordinanza n. 3004/2017 e 2018.