Così recita un vecchio proverbio, eppure non sono ormai rari i casi che leggiamo sui giornali o sentiamo alla radio o in tivù di figli che continuano a riscuotere la pensione del genitore deceduto.
Il caso che analizziamo è particolare e ci addentriamo cercando di rispondere alla seguente domanda: sussiste o no il reato di indebita percezione, se il cointestatario di un conto continua a incassare la pensione del morto?
Marito e moglie cointestatari di un conto, morto uno dei due, l’altro continua a incassare la pensione accreditata sul conto in comune, figlio che incassa la pensione del genitore defunto titolare del conto cointestato su cui viene accreditata, esempi del genere, fanno pensare subito al reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316 ter c.p.).
In verità non è così, non esiste nel nostro ordinamento, l’obbligo per il cointestatario di un conto, di comunicare il decesso dell’altro cointestatario all’Inps, l’obbligo per legge ( l. n.289 del 2002) incombe in capo alle anagrafi comunali e non sui privati cittadini, così come incombe sui medici necroscopi l’obbligo di inoltrare all’Inps il certificato di decesso entro le 48 ore.
Il caso che esaminiamo riguarda un figlio a cui era stata contestata la percezione indebita dei ratei pensionistici accreditati sul conto corrente cointestato della madre defunta ormai da due anni, accusandolo di non aver comunicato l’avvenuto decesso della madre e predisponendo anche il sequestro preventivo finalizzato alla confisca della somma ritenuta frutto del reato di cui all’art. 316 ter c.p.
L’art. 316 ter c.p. rubricato ” indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato”, per la sua configurazione richiede che la percezione delle somme sia indebitamente avvenuta dietro presentazione di documenti falsi ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, il caso da noi trattato potrebbe rientrare proprio in quest’ultima fattispecie, in quanto il figlio ha omesso di comunicare all’Inps il decesso della madre.
In verità, come ricordato dalla Suprema Corte, non incombe l’obbligo di comunicazione sui privati:
“l’art. 72 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, prevede l’obbligo di comunicare la morte di una qualunque persona, non oltre le ventiquattro ore dal decesso, all’ufficiale dello stato civile del luogo dove questa è avvenuta” o, nel caso in cui tale luogo si ignori, del luogo dove il cadavere è stato deposto, a carico dei “congiunti” o della “persona convivente con il defunto” (o di un loro delegato) o – in mancanza – della persona “informata” del decesso ovvero, in caso di morte in ospedale, casa di cura o di riposo, collegio, istituto o qualsiasi altro stabilimento, in capo al direttore o a chi sia stato a ciò delegato.”
Ricorda inoltre la Suprema Corte ai sensi dell’art. 34 della l. n. 903 del 1965 e dell’art. 31 comma 19 della l. n. 289 del 2002, che l’obbligo di comunicare il decesso all’Inps incombe sul responsabile dell’Ufficio Anagrafe del Comune, obbligo punito con una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 46 d.l. n. 269/2003 convertito in l. n.326/2003 ) così come incombe sul medico necroscopo (art. 1 comma 303 l. n. 190/2014).
Sul privato cittadino (congiunto, persona convivente con il defunto, direttore della struttura ospitante il defunto ) art. 72 D.P.R. n. 396 del 2000, incombe l’obbligo di comunicare il decesso all’ufficiale dello stato civile del luogo del decesso o del luogo di deposizione della salma.
In sintesi, il privato non ha l’obbligo di comunicare il decesso all’Inps, ma solo all’ufficiale dello stato civile del luogo del decesso o del luogo di deposizione della salma, è quest’ultimo, ad avere l’obbligo di comunicarlo all’Inps.
Nel caso da noi trattato, il Comune aveva errato nell’iscrizione del codice fiscale della defunta, per cui l’Inps, aveva continuato a erogare la somma; per poter valutare la perseguibilità o meno del reato, bisogna accertare solo se vi sia stata comunicazione dell’avvenuto decesso all’ufficiale di stato civile, se vi è stata, e il comune ha poi errato nella trascrizione del codice fiscale, o se poi non fa la comunicazione dell’avvenuto decesso all’Inps, non vi è alcun reato per indebita percezione di somme.
PRECISAZIONI
Se il privato cittadino comunica all’ufficiale dello stato civile del Comune l’avvenuto decesso del cointestatario, e poi il Comune, non effettua la comunicazione del decesso all’Inps, il privato non è perseguibile penalmente ai sensi dell’art. 316 ter c.p. per aver continuato a percepire la pensione accreditata sul conto corrente cointestato, in quanto manca la condotta omissiva richiesta per la configurazione della fattispecie criminosa e cioè l’omissione di informazioni dovute, non trattasi infatti di informazione dovuta, non sussiste alcun obbligo; invece, integrerebbe il reato di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p., proprio perchè la pensione viene percepita “sine titulo”.
Diverso il caso avvenuto di recente, di un soggetto che quale figlio, delegato alla riscossione della pensione del genitore, dissimulando il decesso della madre, si è presentato puntualmente ogni mese per 17 anni all’ufficio postale inducendo così in errore il personale delle Poste circa la sussistenza della persistenza del diritto a riscuotere il trattamento previdenziale, conseguendo un ingiusto profitto derivante dall’indebita percezione dei ratei della pensione, processato, è stato condannato per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640 bis c.p.
NOTE
- Sentenza Cassaz. pen. 28675/2021;
- art. 316 ter c.p.;
- art.640 bis c.p.;
- art. 646 c.p.;
- art. 72 del D.P.R.3 novembre 2000, n. 396;
- art. 34 della l. n. 903 del 1965;
- art. 31 comma 19 della l. n. 289 del 2002;
- art. 46 d.l. n. 269/2003 convertito in l. n.326/2003;
- art. 1 comma 303 l. n. 190/2014.