“L’insegnante mediocre racconta. Il bravo insegnante spiega. L’insegnante eccellente dimostra. Il maestro ispira ” .
(Socrate)
Diceva Sigmund Freud: “I mestieri più difficili in assoluto sono nell’ordine il genitore, l’insegnante e lo psicologo”.
E’ proprio vero, quello dell’insegnante è uno dei mestieri più difficili, “i maestri” sono un esempio per i propri ragazzi, impartiscono e diffondono non solo sapere , ma anche insegnamenti di vita.
Il ruolo dell’insegnante è fondamentale per la crescita personale e professionale di ogni futuro uomo e donna nella società, e per molti sono il faro illuminante del proprio “domani”.
In passato si aveva assoluta riverenza per gli insegnanti, oggi molti docenti, vivono nel terrore di subire minacce e aggressioni da parte degli alunni e dei genitori.
L’insegnante è un pubblico ufficiale; l’art. 357 del codice penale sancisce che: “Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.
Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”.
L’insegnamento è una pubblica funzione “nella nozione di pubblica funzione vanno incluse attività, che, pur non connotate in ogni momento del loro divenire dal concreto esercizio della potestà certificativa e del potere autoritativo, costituiscono l’attuazione più completa e connaturale dei fini dell’ente, sì da non poter essere isolate dall’intero contesto delle funzioni dell’ente medesimo. Ne deriva che l’attività didattica rappresenta una pubblica funzione, essendo essa collegata con la valutazione, con il giudizio tecnico – professionale e con il potere disciplinare sugli alunni in vista dell’esito finale del corso di studio. All’insegnante quindi compete la qualifica di pubblico ufficiale ogni qual volta espleti il suo servizio e non soltanto al momento del giudizio conclusivo sul merito degli allievi(Cassazione penale, Sez. VI,sentenza n. 2294 del 20 marzo 1986), e ancora “L’insegnante riveste la qualifica di pubblico ufficiale in quanto l’esercizio delle sue funzioni non è circoscritto alla tenuta delle lezioni, ma si estende alle connesse attività preparatorie, contestuali e successive, ivi compresi gli incontri con i genitori degli allievi”. (Cass. pen. n. 15367/2014).
Nel caso sottoposto alla nostra attenzione, un soggetto è stato condannato per il reato di cui all’art. 336 c.p. per aver minacciato l’insegnante del figlio della convivente al fine di condizionarne il giudizio sul rendimento scolastico (Cassaz. pen. n. 14958/2021).
Sembra opportuno riportare l’articolo del codice penale di cui si discute “Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa (art. 336 c.p.).
Gli insegnanti abbiamo compreso, sono pubblici ufficiali e pertanto, come nel caso di specie, se minacciati per ottenere un giudizio favorevole sul rendimento dell’alunno, si rischia di commettere reato.
Attenzione dunque a usare violenza o a minacciare l’insegnante, oltre ad essere qualcosa di ignobile, costituisce anche reato, non è con la forza che si ottiene, qualora la si abbia, giustizia, ma facendo valere le proprie ragioni se sussistenti, nelle opportune sedi con gli strumenti che la legge ci mette a disposizione.
Vero è che l’insegnante dovrebbe saper rivestire tale ruolo con obiettività di giudizio, al di là di antipatie personali o prese di posizione pregiudizievoli per il proprio ruolo e il proprio operato, un alunno e un genitore devono dal canto loro comprendere il difficile e delicato ruolo del docente, consapevoli che non si ottiene la ragione con la “forza” o in maniera arbitraria, ma con il rispetto e il dialogo; a volte, possono essere gli alunni e i genitori, insegnanti, degli insegnanti stessi, perché con l’educazione e la capacità di far comprendere eventuali errori, si disarma anche il “più potente”. E se proprio neppure le grandi virtù “quali il dialogo, la pazienza, il rispetto e l’educazione” sortiscono alcuno effetto, ricorriamo alla legge.
Intelligente è colui che si serve di tale mezzo usandolo negli opportuni momenti, disarmando l’ignoranza, i pregiudizi e la convinzione di essere nel giusto rispetto agli altri.
Note
– Art. 336 c.p.;
– art. 357 c.p.;
- Cass. pen. n. 2294/1986;
-Cass. pen. n. 15367/2014;
– Cassazione pen. n. 14958/2021.