“Puoi conoscere il cuore di un uomo già dal modo in cui egli tratta gli animali”.
(Immanuel Kant)
Gli animali sono in grado di convivere insieme sebbene appartengano a specie e/o razze diverse; l’uomo, dovrebbe imparare da loro e non approfittare della loro “inferiorità”.
Nella dichiarazione universale dei diritti dell’animale all’art. 2 si legge :
a) Ogni animale ha diritto al rispetto;
b) l’uomo, in quanto specie animale, non può attribuirsi il diritto di sterminare gli altri animali o di sfruttarli violando questo diritto. Egli ha il dovere di mettere le sue conoscenze al servizio degli animali;
c) ogni animale ha diritto alla considerazione, alle cure e alla protezione dell’uomo”
e all’art. 3:
“Nessun animale dovrà essere sottoposto a maltrattamenti e ad atti crudeli”.
Si tratta di un provvedimento internazionale del 1978 che educa al rispetto e all’assunzione di responsabilità dell’uomo verso gli animali e a non sottoporli pertanto a maltrattamenti.
Il legislatore italiano con la legge n. 201/2010, ha inasprito le pene per il reato di maltrattamento di animali che prevede la reclusione da 3 a 18 mesi o la multa da 5.000 a 30.000 euro (precedentemente era punito con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro) pena aumentata della metà, se dal maltrattamento ne derivi la morte dell’animale.
Attenzione, dunque, maltrattare un animale, oltre a essere qualcosa (non merita alcuna definizione) di ignobile, è un reato espressamente punito dalla legge.
Maltrattamento, cosa si intende, quando si può configurare tale reato?
Il legislatore parla di lesione provocata per crudeltà e senza necessità o sottoposizione a sevizie o a comportamenti, fatiche o lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche.
Non solo chi bastona dunque il proprio animale o lo prende a calci, a pugni, provocandone una lesione è passibile di reato, ma anche chi lo faccia soffrire per mancanza di cure o inedia.
La Cassazione, con indirizzo interpretativo consolidato, ha chiarito che per lesioni, non si intendono solo quelle fisiche, ma anche quelle “sofferenze di carattere ambientale, comportamentale, etologico o logistico, comunque capaci di produrre nocumento agli animali, in quanto esseri senzienti “.
La lesione, dunque, non è tale solo se produce un danno fisico “una modificazione menomante a carico di un organo o di un tessuto “ ad esempio un calcio che azzoppi per sempre un animale, ma anche il provocare danni psichici, il detenere il cane ad esempio isolato e in spazi angusti nella totale sporcizia, non ci farà vedere lesioni fisiche sul corpo dell’animale, ma certamente contrasta con le sue caratteristiche etologiche, tali da provocargli sicuramente sofferenza.
Analizziamo alcuni casi per comprendere meglio.
La Cassazione ( sentenza n. 4876/2019) ha chiarito che anche il taglio della coda nel cane, se non necessaria, costituisce lesione e integra il reato di maltrattamento.
L’art. 10 della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia siglata nel 1987 e ratificata e resa esecutiva dall’Italia con la legge n. 201 del 2010, vieta il taglio della coda che non abbia fini terapeutici (quindi curativi) con delle eccezioni, riportiamo l’articolo, ai fini di una sua totale comprensione:
-Articolo 10- Interventi chirurgici
- Gli interventi chirurgici destinati a modificare l’aspetto di un animale da compagnia, o finalizzati ad altri scopi non terapeutici debbono essere vietati, in particolare:
- il taglio della coda;
- il taglio delle orecchie;
- la recisione delle corde vocali;
- l’esportazione delle unghie e dei denti.
- Saranno autorizzate eccezioni a tale divieto solamente: a) se un veterinario considera un intervento non terapeutico necessario sia per ragioni di medicina veterinaria, sia nell’interesse di un singolo animale; b) per impedire la riproduzione.
In sintesi, sono vietati gli interventi chirurgici finalizzati a scopi non terapeutici e aventi la finalità di modificare la conformazione naturale dell’animale, con l’eccezione della necessità per finalità non terapeutiche ravvisate dal veterinario nell’interesse dell’animale o per ragioni di medicina veterinaraia o per impedirne la riproduzione.
Quali sono le ragioni di medicina veterinaria?
Il consiglio superiore di sanità con il parere del 13 luglio 2011 ha chiarito che nelle ragioni di medicina veterinaria rientra solo la caudotomia neonatale preventiva, cioè il taglio della coda da eseguirsi nella prima settimana di vita dell’animale ed esclusivamente concernente solo alcune specie di razza elencate in apposita tabella allegata al parere il cui utilizzo all’attività sportiva venatoria possa esporli al rischio di lesioni della coda.
Con la sentenza richiamata sopra, la Cassazione ha condannato l’imputato per il reato di maltrattamento ex art. 544 ter c.p. per avere amputato la coda al cane, taglio non necessario ma volontario, tale da determinare un’apprezzabile diminuizione dell’integrità originaria dell’animale e una menomazione funzionale dello stesso ( in sintesi lesione).
Un’altra sentenza della Cassazione la n. 6728/2019, ha condannato un soggetto che aveva sferrato un violento calcio a un cane in zona toracica facendolo sbattere contro un muro e causandogli una lesione.
Anche tenere il proprio animale legato ad una catena per diversi giorni in uno spazio angusto e isolato nella totale incuria e privo di cibo e acqua, integra il reato di maltrattamento (Cassazione n. 8036 del 2018), infatti, vuol dire sottoporre volontariamente l’animale a sevizie e a un trattamento incompatibile con la sua indole, nel caso di specie si trattava di un pastore tedesco detenuto in condizioni incompatibili con le caratteristiche etologiche di tale animale, il quale, al momento dell’intervento del veterinario pubblico, presentava uno stato di deperimento tale da farlo collassare e non in grado di reggersi sulle zampe nè di alimentarsi ” condizione certamente riconducibile a uno stato patologico tale da integrare comunque il concetto di lesione”.
Nel caso di specie è stata accertata la volontarietà dell’imputato e la consapevolezza di sottoporre l’animale a tale trattamento integrando sussistendo il dolo e non la colpa, il reato più grave di cui all’art. 544 ter anzichè quello meno grave di cui all’art. 727 c.p.
Il secondo comma dell’art. che stiamo esaminando, punisce con le medesime pene il reato di “doping” e cioè il somministrare agli animali sostanze stupefacenti o vietate, l’intento del legislatore è quello di reprimere il frequente fenomeno delle scommesse clandestine e le competizioni tra animali.
Voglio ricordare l’incipit (inizio) di tale articolo: chiunque per crudeltà o senza necessità.
La crudeltà secondo il comune vocabolario è l’insensibilità, il compiacimento nei confronti dell’altrui dolore, la stessa giurisprudenza ha chiarito come da etimo della parola “crudus”, significa appunto crudezza o durezza d’animo; senza necessità e cioè comportamenti non necessitati ad esempio dall’evitare un pericolo imminente e/o un danno giuridicamente apprezzabile.
Fatte tali precisazioni, quando non sussitono esimenti, ci chiediamo, può l’animale supremo, l’uomo, “accanirsi” in maniera immotivata, senza ragione, solo per insensibilità o durezza d’animo, verso un essere “inferiore”, ma certamente superiore nell’animo?.
Come diceva un grande filosofo greco “ fintanto che l’uomo continuerà a distruggere gli esseri viventi inferiori, non conoscerà mai né la salute né la pace. Fintanto che massacreranno gli animali, gli uomini si uccideranno tra di loro. Perché chi semina delitto e dolore non può mietere gioia e amore.” Pitagora
NOTE
- art. 2 e 3 dichiarazione universale dei diritti dell’animale;
- legge 201/2010;
- art. 544 ter c.p.;
- Cassazione penale n. 4876/2019;
- art. 10 convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia;
- parere consiglio superiore della sanità del 13 luglio 2011 e relativa tabella allegata;
- Cassazione penale n. 6728/2019;
- Cassazione penale n. 8036/2018.