UN MEDICO E IL SUO DIRITTO DI OBIEZIONE DI COSCIENZA.

La legge riconosce il diritto all’aborto e all’obiezione di coscienza, ma quando tutti sono obiettori di coscienza, come si fa a garantire il primo dei due diritti?

La L. n. 194/78 all’art. 9 sancisce che il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie quando dichiari preventivamente l’obiezione di coscienza, non è tenuto a prendere parte alle procedure per l’interruzione di gravidanza.

Chiarisce inoltre la legge : “L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.”

Un medico obiettore di coscienza, può essere per legge esonerato dal causare l’aborto sia chirurgicamente che farmacologicamente, ma non può rifiutarsi di prestare assistenza.

Cosa s’intende con quest’ultima espressione?

Nel caso che andiamo a esaminare, un medico, in servizio presso il reparto di ginecologia e ostetricia di un ospedale, di guardia nella giornata di sabato, chiamato a eseguire un’ecografia di controllo volta ad accertare che l’interruzione di una gravidanza praticata per via farmacologica da altro medico fosse avvenuta, e che dunque la paziente potesse essere dimessa, avendo rifiutato l’esecuzione dell’accertamento diagnostico esercitando il diritto all’obiezione di coscienza, è stato condannato per il reato di cui all’art. 328, comma 1 c.p. (rifiuto di atti d’ufficio).

Il medico, come normativamente previsto, avrebbe dovuto prestare assistenza, egli infatti, può esercitare il proprio diritto di obiezione di coscienza nel non praticare l’interruzione di gravidanza, ma non, come nel caso di specie, a prestare assistenza prima o dopo l’atto interruttivo; nel caso in esame, l’atto interruttivo era già stato praticato da altro sanitario, e il medico obiettore avrebbe dovuto eseguire l’ecografia per accertare che l’interruzione di gravidanza si fosse o meno verificata e non vi fossero rischi per le condizioni cliniche e di salute della donna.

Secondo la Suprema Corte, l’imputato era chiamato a svolgere solo un’attività constatativa e “nell’aborto indotto per via farmacologica, la fase rispetto alla quale opera l’esonero da obiezione di coscienza è limitata alle sole pratiche di predisposizione e somministrazione dei farmaci abortivi, coincidenti con quelle procedure e attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione cui si riferisce l’art. 9 comma 3 citato , per il resto il medico ha l’obbligo di assicurare la cura (Sez. 6, n. 14979 del 27/11/2012).”

L’imputato si è rifiutato di eseguire l’ecografia, effettuata diverse ore dopo dalla prima richiesta da parte dell’infermiere, da altro medico, un esame solo accertativo dello stato interruttivo che come tale doveva essere eseguito non potendo per legge sussistere il diritto all’obiezione di coscienza.

Il medico, ha commesso il reato di rifiuto di atti d’ufficio, non potendo nel caso di specie, trovare applicazione il diritto all’obiezione di coscienza, con conseguente condanna.

Riflessione

Anche il Codice deontologico dei medici riconosce il diritto di cui abbiamo parlato sopra, sancisce infatti all’art. 22 che :il medico può rifiutare la propria opera professionale quando vengano richieste prestazioni in contrasto con la propria coscienza o con i propri convincimenti tecnico-scientifici, a meno che il rifiuto non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona, fornendo comunque ogni utile informazione e chiarimento per consentire la fruizione della prestazione”.

Ogni persona ha diritto al rispetto dei propri principi etici, quando si tratta di medico, il cui impegno, come risulta dal giuramento di Ippocrate è quello “di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’Uomo e il sollievo della sofferenza”, la propria moralità, come giuridicamente previsto, viene meno di fronte all’imminente pericolo di salvare una vita.

Nel caso in esame, tra l’altro già affrontato dalla Suprema Corte, (Cassazione penale sez. VI, 27/11/2012, n. 14979), quando trattasi di interruzione di gravidanza farmacologica e non chirurgica, l’esonero è limitato alla predisposizione e somministrazione dei farmaci, non anche alle fasi successive e ciò a prescindere dall’imminente pericolo della donna.

La legge italiana, la medesima che riconosce il diritto all’obiezione di coscienza (L.194/78), riconosce anche il diritto all’aborto, ciò che non riconosce invece, è il diritto di obiezione di un’intera struttura ospedaliera, sempre l’art. 9 prevede che : gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare gli interventi di interruzione della gravidanza richiesti”. Eppure in Italia, in tante strutture, l’alta percentuale dei ginecologi obiettori, impedisce che venga praticata l’interruzione volontaria di gravidanza.

Sono riconosciuti due diritti nella medesima legge: all’aborto e all’obiezione di coscienza, in verità, nonostante non sia previsto, anzi sia vietato dalla stessa legge, di fatto viene praticato un altro diritto, quello, come è stato definito, “dell’obiezione di struttura”. Quest’ultimo diritto, sebbene non previsto, riesce a comprimere, anzi ad annullare il primo, da ciò ne discende il motivo per cui ancora in Italia esistono tanti aborti clandestini.

Tutti hanno diritto a che i propri diritti vengano riconosciuti, non c’entra l’etica o qualunque altro motivo, bisogna rispettare qualunque opinione, scelta, ma quando a riconoscere un diritto è la legge, questo, contrariamente da quanto avviene, non può essere disapplicato.

NOTE

– Art. 9 L. n. 194/1978;

– art 328, comma 1 c.p.;

– Corte di Cassazione, sez. VI Penale sentenza 17 novembre 2020 – 13 maggio 2021, n. 18901;

– Cassazione penale sez. VI, 27/11/2012, n.14979;

art. 22 codice di deontologia medica.