VIOLENZA DIVERSA.

La violenza è una mancanza di vocabolario.

Gilles Vigneault

25 NOVEMBRE

Quando si avvicina questa data, pensiamo: oggi, non è poi tanto diverso dal passato, molto ancora c’è da fare; si è soliti riflettere sulla violenza fisica (calci, pugni, schiaffi), o psicologica (insulti, umiliazioni ecc.), quasi mai su quella economica, che impedisce o limita in modo subdolo e determinante la libertà della persona economicamente debole o nullatenente.

Perchè? Difficile da riconoscere, poco attenzionata, e ancora invisibile.

Prima mogli e poi madri e l’aut – aut di Kierkegaard: la scelta: famiglia o lavoro.

Molte donne confidando sull’agiatezza economica del proprio coniuge, e avallate da quest’ultimo, “decidono” di dedicarsi alla famiglia, ma quando si rendono conto di non avere indipendenza economica (pretesa di dettagliati resoconti delle spese, controllo sulla gestione delle risorse economiche, negazione di somme di denaro o dazione dello stretto necessario per fare la spesa, esclusione da ogni decisione concernente investimenti ecc.), comprendono di non avere libertà, ed essere vittime di maltrattamento economico.

La mancanza di indipendenza economica, o l’impedire che il familiare diventi indipendente, costringe la vittima a subire, senza soldi e con un’età in cui risulti difficile reintrodursi nel mondo del lavoro, si resta intrappolate nell’altrui predominanza economica.

Come la legge tutela la vittima di violenza economica?

In Italia si parla di violenza economica per la prima volta nell’art. 3 del decreto 93/2013 convertito in legge 119/2013 che disciplina l’ammonimento, non esiste uno specifico articolo di legge che la disciplini, non è considerata reato, pronunce della Cassazione hanno ricondotto l’abuso economico al reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) “la privazione di disponibilità economiche costituisce solo una delle numerose modalità di maltrattamento poste in essere dall’imputato”, che “aveva tolto alla moglie la procura sul conto corrente e l’uso del bancomat, lasciandole soltanto una carta per la spesa nel supermercato, con un limitato plafond; il bancomat le era stato poi successivamente riconsegnato per poi esserle nuovamente tolto” (Cass. Pen., n.18937/2016).

Non è facile da riconoscere questa forma di violenza, culturalmente a volte, si ritiene legittima la predominanza economica dell’uomo sulla donna e ciò principalmente nel caso in cui la vittima non lavori o abbia guadagni nettamente inferiori; la relazione non è dunque stabile e paritaria, ma compressa, dal controllo prevalente o esclusivo di chi è economicamente più forte.

Attenzione dunque a quel “non lavora, tanto non le manca nulla“, a mancare è proprio la libertà di decidere e gestire; l’apparenza del non manca nulla, cela la negazione del diritto di essere paritari nelle decisioni, o peggio, nega la possibilità di autodeterminazione.

Come si può dire che non manchi nulla, quando bisogna chiedere sempre, se si vuole ottenere anche la più piccola e banale cosa?

Non si hanno lividi, ma il dolore di non avere la libertà di scegliere o decidere.

Violenza fisica o economica, quale differenza su chi la subisce?

Ogni violenza lascia i suoi segni, sia che siano fisici (lividi) sia che non lo siano, ( nessuna libertà, e l’inferiorità di chi economicamente debole, incapace per l’altrui sopruso, subdolo o meno, di poter scegliere di non subire).

Quando questa forma di violenza non si accompagna a quella fisica, è molto difficile da riconoscere, e il “fidarsi” o “l’affidarsi” completamente all’altro, può minare la nostra autostima, dignità, autodeterminazione.

A volte, dietro i tacchi, il trucco, il ben vestire, o l’apparente benessere, mascherato da forzati e convenevoli sorrisi, si nasconde la subdola violenza economica, che non lascia segni sul corpo, è invisibile, ma lascia segni sulla dignità, determinata dall’inferiorità, o dalla nullità economica.

Come scriveva un grande del passato:

Il denaro che si possiede è strumento di libertà; quello che si insegue è strumento di schiavitù
JEAN-JACQUES ROUSSEAU

Riflessione

Schiavitù è inseguire quell’apparente agiatezza che ci mostri libere e felici agli occhi altrui, ma che fa lacrimare gli occhi di chi accetta la “dipendenza” dal lusso, festini, godimento, con privazione del proprio modo di essere e pensare, ma essere e apparire come l’altro, il “più forte”, ha deciso per noi.

Crediamo di essere su un’altalena a dondolarci felici per i nostri, o meglio, per gli altrui agi, coccolate con rose e champagne, ma prive di ogni potere e assoggettate all’altrui controllo….. tanto, non ci manca nulla…. solo la libertà.

La violenza, anche se subdola, non dovrebbe esistere come parola, così l’incipit di questo articolo, riportando la frase di Gilles Vigneault, ma se così fosse, non ci sarebbe l’uomo.

NOTE

  • Sentenza Cassazione III Sez. Penale n. 18937/2016;
  • art. 3 del decreto 93/2013 convertito in legge 119/2013;
  • art. 572 c.p..